L’età rappresenta un elemento ineluttabile della nostra esistenza, spesso sintetizzato in un semplice dato “numerico” che identifica senza ambiguità l’età anagrafica e, almeno in teoria, anche quella biologica. Tuttavia, questa cifra non sempre riflette l’età che realmente percepiamo, meglio definita come età psicologica, un concetto che introduce nuove prospettive e sfumature nella comprensione dell’invecchiamento.
Età biologica ed età psicologica
Se l’età anagrafica, riportata sui nostri documenti, è un dato oggettivo e immutabile, l’età percepita – o “mentale” – assume un ruolo altrettanto significativo, sebbene sia molto più complessa da definire. Questa percezione è influenzata da molteplici fattori e, secondo diversi studi recenti, si sta assistendo a un crescente divario tra età biologica ed età psicologica.

Il modo in cui ciascuno di noi affronta il passare degli anni e la vecchiaia è profondamente legato alla dimensione psicologica: la percezione di sé nel futuro – tra 5, 10, 15 anni – si costruisce attraverso sogni, aspettative e progetti personali. Questi elementi sono a loro volta influenzati dall’aspettativa di vita, che contribuisce a separare ulteriormente l’età percepita da quella biologica.
Numerosi test hanno messo in luce risultati sorprendenti: grazie a una maggiore aspettativa di vita rispetto alle generazioni precedenti, oggi è più difficile “sentirsi anziani” in modo automatico, soprattutto per chi ha superato i 60 o 65 anni. Questo fenomeno è attribuibile anche ai progressi della medicina e alle migliori condizioni di vita, che permettono di mantenere più a lungo una percezione di giovinezza.
Aspettativa di vita
In paesi come la Germania e l’Italia, dove la speranza di vita è cresciuta notevolmente in pochi decenni, anche la percezione soggettiva dell’età si è trasformata. L’età che “sentiamo” di avere tende a evolversi in modo diverso rispetto a quanto riportato sulla carta d’identità, rispecchiando una maggiore flessibilità mentale e una diversa visione del tempo che passa.

L’incremento dell’aspettativa di vita, favorito da condizioni generali più favorevoli, ha generato una visione più positiva e dinamica dell’invecchiamento. Oggi è frequente vedere persone non più giovanissime dedicarsi ad attività tradizionalmente associate ai giovani, segno di una nuova vitalità e di una diversa percezione di sé rispetto alle generazioni passate.
Questa distanza tra età biologica ed età psicologica tende però a ridursi quando la vita quotidiana è segnata da pessimismo, ansia, preoccupazioni o da condizioni psicologiche negative prolungate. Al contrario, sentirsi “giovani dentro” è una condizione naturale che si manifesta soprattutto quando ci sentiamo in salute e in armonia con noi stessi.
Cosa influenza l’età psicologica
Numerosi fattori, sia caratteriali che ambientali, contribuiscono a determinare l’età psicologica. Gli studiosi hanno osservato che, anche all’interno della stessa generazione, chi conduce una vita attiva e socialmente ricca, sia nel lavoro che nel tempo libero, tende a percepirsi più distante dalla vecchiaia rispetto a chi è meno coinvolto nel contesto sociale.

Non si tratta solo di una questione anagrafica: sentirsi, se non giovani, almeno ancora capaci di autonomia e di coltivare passioni e interessi, rappresenta un elemento fondamentale per il benessere psicologico. La ricerca di momenti di svago e la speranza in un futuro positivo sono tratti distintivi di chi mantiene una percezione di sé dinamica e aperta.
La salute fisica gioca ovviamente un ruolo centrale, così come il supporto psicologico, che può aiutare a vivere le fasi centrali e avanzate della vita non come tappe obbligate, ma come un percorso di crescita continua. Secondo numerose ricerche, la mente umana non conosce limiti imposti dall’età, a patto che venga costantemente stimolata e mantenuta attiva.
Idee “negative”
È stato dimostrato che, man mano che aumenta l’aspettativa di vita, l’età mentale non è necessariamente vincolata da limiti rigidi o preconcetti. Questo aspetto non è affatto trascurabile, poiché può contribuire a ridurre il rischio di sviluppare malattie cognitive e a promuovere una maggiore longevità mentale.

Mantenere una visione negativa di sé e della propria età può invece favorire un peggioramento della salute generale, soprattutto quando l’età percepita si avvicina troppo a quella biologica. Questo fenomeno è stato osservato anche nella prevenzione di patologie come l’Alzheimer, dove un atteggiamento mentale aperto e positivo sembra giocare un ruolo protettivo.
È quindi importante ricordare, come confermato da numerosi studi recenti, che non è necessario “forzarsi” a comportarsi da giovani a tutti i costi – anzi, in certi casi può essere controproducente – ma mantenere una mente aperta, coltivare relazioni e dedicarsi ad attività gratificanti si rivela non solo utile, ma anche estremamente efficace per il benessere complessivo.